Ancora oggi, per molti bambini andare a scuola è un’impresa veramente difficile.
Sapevi che in alcune scuole vengono ancora utilizzate punizioni violente per gli ‘’errori’’?
E se ti dicessi che alcuni bambini camminano più di un’ora e mezzo in strade dissestate per raggiungere la scuola, ci crederesti?
Beh, sì… È un po’ difficile da immaginare.
Sono Matteo Marsalli, fotografo e studente di Scienze Naturali all’Università di Pisa.
Questo aprile ho preso parte ad un progetto fantastico ai piedi dei massicci himalayani: la passione per la fotografia mi ha trascinato in Nepal. Avevo già pianificato di andare molto prima, ma a causa della pandemia il mio sogno era sfumato. Nonostante questo, ho perseverato e alla prima occasione utile sono partito.
Di questo Paese mi incuriosivano molto i paesaggi, i templi induisti e buddisti, l’aria che si respira e le persone meravigliose. Era una cultura che volevo conoscere e soprattutto fotografare.
Quindi, riempito lo zaino con il necessario e l’attrezzatura fotografica (praticamente solo quella), sono partito.
Ho vissuto un mese nella New Marigold School in un paesino sperduto del Nepal chiamato Chiti, ai piedi della famosissima catena montuosa.
Si tratta di una delle prime scuole gratuite che fornisce un’educazione in lingua inglese di qualità con un approccio didattico non violento.
Nella maggior parte delle scuole nepalesi, infatti, laddove si commettano ‘’errori’’ si viene puniti con la violenza.
La scuola è stata fondata da Shamser Tapa, un insegnante del villaggio che, da sempre contrario a questo metodo, ha deciso di cambiare il futuro degli studenti del paese.
La sua missione (e quella dei volontari) è proprio fornire un’istruzione gratuita di alta qualità senza punizioni violente, grazie alla quale ogni bambino può diventare più sicuro di sé e divertirsi ad imparare.
La scuola è stata costruita grazie ad una raccolta fondi.
Tutto funziona e si muove grazie al duro lavoro degli insegnanti e dei volontari che arrivano da ogni parte del mondo.
Anche loro, grazie ai contatti stretti e alle conoscenze, alimentano la raccolta fondi, utile a pagare stipendi agli insegnanti e donare agli studenti tutto quello di cui hanno bisogno: dalla cancelleria ai libri, dalle uniformi alle calzature, dal cibo alla manutenzione delle aule.
Raggiungere la scuola non è stato per nulla facile. Trovare strade asfaltate in Nepal non è proprio scontato e per questo l’efficienza dei trasporti ne risente parecchio.
Ci sono volute circa dieci ore di minibus, da Kathmandu fino ad un paesino chiamato Udipur. Considerate che queste due località distano 180km l’una dall’altra.
Dieci calde e polverose ore, percorse metà su asfalto, metà su strade bianche. A contornare il tutto, una serie di buche (più che buche vere e proprie voragini) che rendevano questo viaggio della speranza allegro ed effervescente.
La vera parte frizzante è arrivata solo alla fine. La tratta Udipur- Chiti (paesino dove sorgeva la scuola) era un classico sentiero di montagna. Una via stretta, senza guard-rail, sconnessa: con massi, ghiaia e altre voragini.
Questa volta a bordo di un vero e proprio autobus rosa shocking che, dati i suoi 8/9 metri di lunghezza, aveva bisogno di diverse manovre per affrontare tutte quelle curve strette e in forte pendenza.
Sì, esatto, durante queste manovre, le ruote dell’autobus arrivavano proprio in corrispondenza del ciglio della strada.
Giunto alla scuola dopo aver consumato tre quarti di fegato, mi sono subito emozionato.
Uno scenario incredibile.
La scuola era stata costruita su un altopiano dietro il paese ed era raggiungibile solo attraverso due mulattiere con un’importante pendenza.
Ad accoglierla, un terreno umido rossastro tappezzato di pozzanghere.
La vegetazione, di un bel verde rigoglioso, ondeggiava piano piano per la brezza che soffiava.
A contornare il tutto, un cielo immenso, brumoso, con nuvole grandi e veloci che al loro passaggio, scoprivano le vette dei massicci himalayani.
È proprio qui che ho vissuto una realtà indimenticabile.
Il mio compito (e quello degli altri volontari) era quello di affiancarsi agli studenti all’interno delle classi, rivestendo il ruolo di aiuto-insegnante per le materie di Inglese, Scienze e Matematica durante le ore scolastiche.
Un altro compito era il provvedere all’acqua e al cibo per i bambini.
Il problema ‘’acqua’’ era da non sottovalutare.
In Nepal, gran parte dell’acqua che arriva nelle case e negli edifici (soprattutto nelle città) non è potabile e necessita di un ulteriore trattamento prima di essere bevuta.
Nel paesino di Chiti non ci sono acquedotti. L’acqua arriva direttamente dalla montagna, in seguito allo scioglimento di ghiaccio e neve. È possibile quindi considerarla ‘’sicura’’. L’acqua è disponibile solo nelle prime luci del mattino per due ore e successivamente per un’altra ora al tramonto. Questo perché il sistema idrico non è molto efficiente e l’acqua deve essere gestita omogeneamente per tutti gli abitanti delle valli limitrofe. Ogni mattina dovevamo riempire tre grosse taniche da 500 litri. Questa riserva avrebbe permesso a tutti di bere, di usufruire dei servizi igienici, di cucinare, di lavarsi e di prendersi cura dell’orto e delle piccole aiuole create a scopo didattico e culinario.
Per quanto riguarda il cibo… Prima di pranzo ci recavamo nella cucina ed aiutavamo Manisha, la cuoca. Una dolce, simpatica e solare ragazza che, con pochissimi utensili ed ingredienti, realizzava dei pasti niente male.
La cucina era molto rudimentale. Si cucinava a terra, in pentoloni d’alluminio appoggiati su grandi fornelli.
Spesso cucinare vicino a quei cosi era difficile: l’aria era irrespirabile. Questo perché il gas che si acquista in Nepal nelle bombole non è puro; la fiamma assume un colore giallo/rosso, si sente puzza di bruciato e le pentole si colorano di nero.
Il menu?
Non c’era un menu.
Si mangiava sempre Dal bhat, il piatto nazionale, composto da una zuppa di lenticchie, spezie e verdure (Dal) e riso bianco (bhat). Lo mangiavamo a colazione, a pranzo e lo rimangiavamo a cena.
Sì, a volte il palato sognava altre cose, ma la verità era che non potevi fare a meno del tuo Dal bhat.
In quel momento iniziai a capire il perché di così tante magliette ‘’Dal bhat power-24hours’’ in giro.
Oltre all’acqua, anche l’elettricità non era molto efficiente. Spesso, durante forti piogge e temporali, la luce se ne andava lasciando tutti al buio.
Insomma, un ambiente difficile se si hanno particolari pretese.
Un ambiente semplice e sano se di pretese non se ne hanno.
In che senso semplice e sano?
Queste due parole hanno segnato la mia esperienza in Nepal.
Semplice perché ho vissuto nella semplicità. Mi sono allontanato da tante cose che adesso posso definire superflue. Sano, perché grazie a questa distanza dall’inessenziale, non avevo distrazioni e potevo vivermi a pieno la gioia, i sorrisi, l’energia dei bambini e l’amicizia degli altri volontari, mettendomi in gioco continuamente.
La cosa più bella, erano i nuovi rapporti che si creavano.
Attraverso sguardi, sorrisi e parole durante la ricreazione o in classe scoprivo i
differenti caratteri dei bambini, dal più timido al più estroverso.
La macchina fotografica è stata di fondamentale importanza per stabilire nuove connessioni. Di fatti questo oggetto, generando curiosità e interesse, mi ha aiutato tantissimo ad avvicinarmi alle personalità più schive.
Al contrario, spesso venivo assalito da folle di bambini che mi chiedevano foto nelle pose più assurde.
A differenza di lui. Lui se l’è fatta da solo…
Questo progetto di volontariato e reportage fotografico è stato fondamentale per me. Sicuramente uno dei viaggi più belli della mia vita. Questo perché il volontariato è una modalità Potente per partecipare a nuove avventure, conoscere la cultura di un Paese e tornare a casa padroni di una ricchezza inquantificabile, maturata sul posto.
È vero. Può fare paura partire per un posto molto diverso da casa.
Quello che vorrei dire però è che, trovato un po’ di coraggio e passate le prime settimane da soli, all’interno di noi si crea una sorta di energia che elimina determinate paure legate alla distanza.
Ognuno di noi possiede delle caratteristiche speciali, uniche, che fuoriescono in determinati contesti.
Sta a noi ricercarle.
Per quanto mi riguarda, ho vissuto questa esperienza come un modo per conoscere un po’ il Paese, essendo d’aiuto alla realtà che mi stava ospitando.
Questo aiuto è stato possibile grazie alle mie conoscenze scolastiche di base e alla passione per la fotografia. Con essa, posso veicolare il messaggio di quanto sia importante questo progetto di istruzione, in un Paese che viene considerato solo per la vetta più alta del mondo.
Vorrei continuare a scrivere di tutti i momenti passati e descriverne i dettagli ma è arrivata l’ora di concludere. Quello che posso ancora fare è: invitare voi che state leggendo a vivere delle esperienze simili, che cambieranno il vostro modo di pensare e vi arricchiranno.
Viaggi in cui non siamo solo turisti. Luoghi dove non siamo solo estranei di passaggio. Queste sono realtà in cui, una volta andati via, la nostra mancanza lascerà un vuoto.
Fate tutto questo in compagnia della vostra fotocamera ovviamente! Ricordate che con essa potete cogliere momenti importanti e veicolare considerevoli messaggi a molte persone, più di quanto possano fare le parole.
Se volete qualche consiglio riguardo questo tipo di esperienze, non esitate a contattarmi. Sarò più che felice di rispondervi!
Buone avventure e buone foto!
Matteo Marsalli
IG: https://www.instagram.com/matteomarsa/
Questo progetto è in collaborazione con RCE FOTO, il più grande mercato di materiale fotografico usato in Italia, che ha come slogan ‘’Second hand saves the world’’.
Ricorda che non è sempre necessario comprare oggetti nuovi, specialmente se è possibile dare una nuova vita ad un oggetto in ottime condizioni che se ne sta lì fermo e non vede l’ora di essere riutilizzato al massimo.